Gli agricoltori locali su piccola scala nelle regioni critiche del pianeta potrebbero raddoppiare la produzione di alimenti in un decennio utilizzando metodi ecologici. È quanto afferma il rapporto* presentato l’8 marzo dal Relatore speciale Onu per il diritto al cibo Olivier De Schutter al Consiglio delle Nazioni Unite per i diritti umani a Ginevra.
Dunque, la soluzione per migliorare le condizioni di vita dei più poveri – sulla base di un’analisi dei più recenti studi scientifici - non è l’utilizzo di sementi Ogn né l’irrorazione dei campi con glifosato e altri potenti erbicidi o antiparassitari, ma uno spiccato cambio di rotta verso la “agroecology”
«Per nutrire 9 miliardi di persone nel 2050, dobbiamo adottare al più presto le più efficienti tecniche disponibili in agricoltura, sostiene Olivier De Schutter. E l’evidenza scientifica attuale dimostra che i metodi agro-ecologici superano di gran lunga i fertilizzanti chimici nell’incremento della produzione alimentare dove la fame è una realtà, soprattutto negli ambienti sfavorevoli».
Come? Anzitutto mediante l’accorto utilizzo di piante, alberi, animali e insetti che possono contribuire al miglioramento della produttività dei terreni e alla protezione dei raccolti dai parassiti. De Schutter conferma come «a oggi, i progetti agroecologici hanno mostrato un incremento medio dell’80% sui raccolti in 57 paesi in via di sviluppo, +116% in tutti i progetti africani. I progetti recentemente condotti in 20 paesi africani hanno dimostrato il raddoppio dei raccolti in un periodo che varia tra i 3 e i 10 anni. L’agricoltura convenzionale ha bisogno di risorse costose, contribuisce al cambiamento del clima ma non resiste agli shock climatici. Semplicemente, oggi non è più la migliore scelta da fare».
Il Malawi un paio d’anni fa ha ricevuto, sotto forma di aiuti, una massiccia fornitura di fertilizzanti chimici. Dopo un esito fallimentare, il paese ha avviato un programma di agroecologia grazie al quale i raccolti di mais sono aumentati da 1 a 2-3 tonnellate per ettaro, con immediato beneficio per oltre 1,3 milioni di persone al di sotto della soglia di povertà. Altri esempi citati nel rapporto riguardano progetti realizzati in Indonesia, Vietnam e Bangladesh, dove c'è stata una riduzione fino al 92% degli insetticidi utilizzati nella produzione di riso, con cospicui risparmi per gli agricoltori più poveri.
«La conoscenza è intervenuta a rimpiazzare antiparassitari e fertilizzanti. La scommessa è risultata vincente, e numerosi studi comparati la attestano in altri Paesi africani, asiatici e del Sud-America», annotano gli esperti indipendenti. «Questo approccio sta prendendo piede anche in paesi sviluppati come gli Usa, la Germania e la Francia, prosegue De Schutter. E tuttavia, a dispetto dell’impressionante potenziale di realizzare il diritto al cibo per tutti, l’agroecologia non è ancora sostenuta in modo sufficiente dalle ambiziose politiche pubbliche, e di conseguenza raramente va al di là della fase sperimentale».
Come già notato, il Relatore speciale Onu per il diritto al cibo non è solito limitarsi ad analisi e riflessioni astratte, né si distingue per la diplomazia. Ogni suo rapporto si conclude con una serie di raccomandazioni rivolte agli Stati membri delle Nazioni Unite. Anche in questo caso:
«L’agroecologia è un approccio intensivo sul piano della conoscenza. Richiede politiche pubbliche a supporto della ricerca in agricoltura e servizi diffusi di partecipazione ai lavori (sui territori). Gli Stati e i donatori hanno un ruolo cruciale in questo ambito, considerato che le società private non investiranno tempo e denaro in pratiche che non risultino remunerate dai brevetti e che non aprano i mercati a prodotti chimici o nuove sementi (Ogm, ndr)».
Il Relatore speciale si sofferma anche sull’esigenza di dare supporto alleorganizzazioni locali dei piccoli agricoltori, che hanno mostrato una grande capacità di divulgare le buone prassi agricole tra i loro membri. «Rafforzare le organizzazioni sociali ha un impatto paragonabile alla distribuzione di fertilizzanti. Gli agricoltori su piccola scala e gli scienziati possono creare insieme pratiche innovative assai efficaci. D’altra parte, conclude De Schutter, non risolveremo i problemi della fame né fermeremo il cambiamento del clima con l’agricoltura industriale su grandi piantagioni. La soluzione sta nel supporto alla conoscenza e alla sperimentazione dei piccoli agricoltori, permettendo loro di aumentare i loro redditi e preservare i territori rurali».